Contrassegno del Parkinson
idiopatico da dati omici
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 25 novembre
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La malattia di Parkinson è al secondo posto per
frequenza fra le patologie neurodegenerative e, sebbene esistano forme
familiari ad eredità genetica autosomica dominante (geni: SNCA, LRRK2,
ecc.) e forme familiari ad eredità autosomica recessiva (geni: PARK2, PARK6,
PARK7, ecc.), la maggior parte dei casi è considerata idiopatica. Il
Parkinson idiopatico si ritiene abbia un’eziopatogenesi multifattoriale e, nonostante
sia noto che varianti comuni di geni quali SNCA e LRRK2 responsabili
di forme genetiche accrescano anche il rischio della forma non-mendeliana, l’esatto
ruolo dei vari fattori concausali e i meccanismi della patogenesi che portano
alla morte cellulare dei neuroni dopaminergici della substantia nigra
mesencefalica nei casi idiopatici non sono ancora definiti. Si ritiene che l’identificazione
di alterazioni trascrittomiche e metaboliche precoci, coerenti fra pazienti diversi
affetti dalla forma idiopatica di malattia di Parkinson, potrebbe rivelare la
base potenziale dell’accresciuta vulnerabilità dei neuroni dopaminergici e i
meccanismi patologici primari.
Alise Zagare e colleghi hanno adottato un approccio
che combina la biologia dei sistemi all’integrazione dei dati per
identificare differenze nei contrassegni trascrittomici e metabolici tra
pazienti affetti da malattia di Parkinson idiopatica e volontari di controllo
sani nei precursori cellulari nervosi di origine mesencefalica.
I risultati ottenuti sono di sicuro rilievo e
interesse neuroscientifico e neurologico.
(Zagare
A., et al., Omics data integration suggests a potential idiopathic
Parkinson’s disease signature. Communications Biology 6 (1): 1179 – Epub ahead of print doi: 10.1038/s42003-023-05548-w, November
20, 2023).
La provenienza degli autori è la seguente: Luxembourg Centre for Systems Biomedicine (LCSB),
University of Luxembourg, Esch-sur-Alzette, Luxembourg (Lussemburgo);
Metabolomics and Analytics Center, Leiden Academic Centre for Drug Research, Leiden
University, Leiden (Paesi Bassi); School of Medicine,
University of Galway, University Rd, Galway (Ireland); Laboratory for Developmental
Genetics, RIKEN Center for Integrative Medical Sciences (IMS), Kanagawa (Giappone); Centre Hospitalier de
Luxembourg (CHL), Rue Nicolas Ernest Barblé,
Luxembourg (Lussemburgo).
A beneficio del lettore non specialista, si propone
qui di seguito un’introduzione alla malattia tratta da un nostro precedente articolo[1].
In questo
modo nel 1817 James Parkinson descrisse le caratteristiche sintomatologiche
salienti del disturbo neurologico eponimo, allora definito “morbo”: movimenti involontari con carattere di
tremore, accompagnati da diminuzione della forza, non rilevabili nelle parti
del corpo a riposo e nemmeno in quelle sostenute; una tendenza alla flessione
in avanti del tronco e a passare da una deambulazione normale a un passo di
corsa, con conservazione delle facoltà intellettive.
A duecento anni di distanza questa descrizione
clinica è sostanzialmente valida, anche se può essere integrata da elementi
tratti da una più precisa semeiotica di osservazione: il tremore[2], ad
esempio, è evidente nella mano ferma non trattenuta dall’altra mano o impegnata
ad afferrare, e si distingue dal tremore di origine cerebellare che si accentua
nello sviluppo intenzionale dell’azione; la conservazione delle facoltà intellettive
è una caratteristica che bene si spiega sulla base di una degenerazione in gran
parte confinata alla componente originata dalla parte compatta della sostanza
nera del sistema nigro-striatale, ma l’associazione di un decadimento cognitivo
che evolve in un quadro di demenza è meno rara di quanto si ritenesse un tempo[3].
Nella descrizione di James Parkinson manca un preciso
riferimento alla tipica rigidità parkinsoniana che non è spastica, ma
oppone solo lieve resistenza al movimento passivo, e perciò è detta in semeiotica
neurologica rigidità cerea. A causa di questa resistenza, quando si
mobilizza un’articolazione, ad esempio flettendo e estendendo l’avanbraccio sul
braccio del paziente, si avverte una resistenza che poi cede, a piccoli scatti,
come se nell’articolazione ci fosse una ruota dentata: è appunto il cosiddetto fenomeno
della ruota dentata.
Manca anche nelle parole del medico londinese il
riferimento alla tendenza statica con difficoltà all’avvio dei movimenti,
convenzionalmente definita acinesia, e la lentezza esecutiva o bradicinesia.
Si può ritenere che Parkinson, nel suo accostare lo stato neurologico del
paziente a quello di una paralisi, avesse incluso rigidità, acinesia e
bradicinesia. Con criteri neurologici che si andarono affermando alcuni decenni
dopo e sono ancora adottati oggi, il termine “paralisi” è erroneo, anche se l’uso
che ne aveva fatto il clinico inglese voleva sottolineare il contrasto mai descritto
prima in neurologia tra uno stato di infermità motoria o deficit di motilità e le
scosse del tremore, molto evidenti nei suoi pazienti. Per questa ragione
intitolò il suo saggio An Essay on the Shaking Palsy. Quando nel
1841 Marshall Hall diede alle stampe il suo trattato Diseases
and Derangements of the Nervous
System, si levarono molte critiche alla sua denominazione della malattia paralysis agitans,
critiche erroneamente rivolte ancora oggi da alcuni autori a Marshall Hall[4], il
quale si era limitato a tradurre in latino il nome dato alla sindrome dallo
stesso James Parkinson.
Fu il neurologo tedesco attivo presso il King’s
College Hospital di Londra e co-fondatore del Maida Vale Hospital for Nervous Diseases, Julius Althaus, a introdurre la denominazione eponima di malattia
di Parkinson. Nel gergo clinico si conservò a lungo, fino alla scoperta del
deficit dopaminico e all’introduzione del precursore L-DOPA in terapia, il
termine “morbo”, per indicare un’entità clinica di cui non si conoscevano eziologia
e patogenesi.
Pierre Marie scoprì che uno dei segni precoci, quando
ancora non sono evidenti quelli che abbiamo menzionato, è la rarità dell’ammiccamento:
una persona che ancora non presenta lentezza, tremore degli arti superiori
fermi e instabilità posturale, batte le palpebre meno del normale.
Fisiologicamente noi battiamo le palpebre da 12 a 20 volte al minuto; nel
paziente parkinsoniano la frequenza si riduce a 5-10 volte e può associarsi una
lieve modificazione della rima palpebrale dovuta all’ipomimia
dei muscoli facciali, con conseguente aspetto di colui che fissa qualcosa. La riduzione
di tono e movimento dei muscoli del viso si accentua solo col progredire della
malattia e, nelle fasi avanzate, conferisce un’espressione statica innaturale, che
può giungere fino all’effetto “maschera”.
Rinviando ai trattati di neurologia per la descrizione
dettagliata delle manifestazioni cliniche e alle trattazioni specialistiche per
le espressioni sintomatologiche delle lesioni dei cosiddetti gangli basali,
qui ci limitiamo a ricordare che le descrizioni classiche impiegate per
decenni, come quella di Hoehn e Yahr
(1967), con segni come l’andatura festinante, erano state elaborate
prima dell’introduzione in terapia della L-DOPA.
La vecchia distinzione tra malattia di Parkinson e parkinsonismi,
come il parkinsonismo post-encefalitico, abbandonata alcuni decenni fa, si sta
nuovamente facendo strada, accanto all’evidenza sperimentale dell’esistenza di forme
neuropatologiche differenti in termini genetici, istologici e biochimici. Ormai
da tempo è emerso che, come per la malattia di Alzheimer, esistono forme monogenetiche
rare e forme comuni e frequenti ad eziologia multifattoriale, ossia causate da interazione
tra fattori ambientali e fattori genetici. Conservando la categoria unica si
riporta, ad esempio, un’età di esordio che va dall’età giovanile a oltre l’ottava
decade, magari specificando che è rara prima dei 30 anni, e precisando che il
maggior numero di casi si ha tra i 45 e i 70 anni[5]. In
realtà, se si escludono i casi familiari di certa o probabile origine
monogenica, l’esordio in molte casistiche è più spesso poco oltre i 60 anni.
Si riporta qui di seguito qualche cenno sulle prime
acquisizioni di genetica del Parkinson, ricordando che una parte considerevole
dei risultati delle nuove ricerche è stata da noi riportata nelle numerosissime
recensioni di lavori originali proposte in questi anni nelle “Note e Notizie”
del sito.
Nel 1997 una mutazione missense
(A53T) nel gene SNCA dell’α-sinucleina fu identificata quale causa
di malattia di Parkinson familiare, ereditata come un carattere mendeliano dominante
e caratterizzata da una patologia a corpi di Lewy (Polymeropoulos
et al., 1997). Successivamente, altre due mutazioni missense
(A30P; E46K) furono identificate in famiglie con malattia di Parkinson e
demenza a corpi di Lewy[6].
Complessivamente, tre mutazioni autosomico-dominanti quali causa ereditaria. Altre
mutazioni autosomico-dominanti furono poi trovate nel gene LRRK2 (a.k.a. PARK8 codificante la leucine-rich repeat kinase
2) e oggi, che sono state trovate molte decine di mutazioni in questo gene,
si considerano la causa più comune di malattia di Parkinson familiare. Sia SNCA
che LRRK2 presentano molti polimorfismi comuni che esercitano effetti di
rischio altamente significativi per le forme geneticamente complesse di
malattia di Parkinson.
Le prime forme genetiche di malattia di Parkinson ad
eredità autosomica-recessiva sono state identificate in tre geni: PARK2,
che codifica l’ubiquitina-ligasi parkina,
PINK1 e PARK7.
Oltre questi cinque loci genici, sedi di mutazioni
causanti forme a eredità mendeliana, sono stati individuati numerosi altri loci
per le forme familiari di malattia di Parkinson. Infine, vi sono gli studi di
genetica delle forme ad ereditarietà multifattoriale[7].
Torniamo ora al nuovo studio che ha identificato
nell’integrazione di dati omici un potenziale contrassegno precoce del
Parkinson idiopatico.
Come si è detto più sopra, Alise
Zagare e colleghi hanno adottato un approccio che combina la biologia dei
sistemi all’integrazione dei dati per identificare differenze nei dati
trascrittomici e metabolici, tra volontari sani e persone affette da malattia
di Parkinson di eziologia ignota, allo scopo di individuare potenziali
indicatori di malattia.
La caratterizzazione dell’espressione genica e il
modello metabolico hanno rivelato, nei precursori neuronici mesencefalici dei
pazienti affetti da malattia di Parkinson idiopatica, le vie del piruvato, di
vari aminoacidi e del metabolismo lipidico, come le più de-regolate vie
metaboliche nei precursori neuronici mesencefalici dei pazienti.
I ricercatori hanno poi accertato e dimostrato che i
precursori neuronici ottenuti da pazienti affetti dalla forma idiopatica
sopportano un danno del metabolismo mitocondriale e una riduzione del pool totale
di nicotinammide-adenina-dinucleotide (NAD). Coerentemente con questo dato,
Zagare e colleghi hanno dimostrato che il trattamento con precursori del NAD
incrementa l’ATP prodotto, in tal modo suggerendo una possibilità di
trattamento delle alterazioni metaboliche precoci associate al Parkinson
idiopatico.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-25 novembre 2023
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La Società Nazionale
di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 25-03-23
Dopamina e apprendimento motorio nel Parkinson. Si veda anche: Note e
Notizie 28-10-23 Ruolo della
proteina del Parkinson LRRK2.
[2] Nella maggior parte dei pazienti
la frequenza del tremore è stimata in 4-5 scosse al secondo, ma in alcuni appare
più rapida e raggiunge le 7-8.
[3] Note e Notizie 02-07-11
Origine delle oscillazioni beta patologiche nel Parkinson.
[4] Adams and Victor’s Principles of
Neurology (Ropper,
Samuels, Klein), p. 1082, McGraw-Hill 2014.
[5] Cfr. Adams and Victor’s
Principles of Neurology (Ropper,
Samuels, Klein), p. 1082, McGraw-Hill 2014.
[6] I corpi di Lewy sono costituiti
da α-sinucleina mutata.
[7] Note e Notizie 25-03-23
Dopamina e apprendimento motorio nel Parkinson.